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13 Dicembre 2010

Enigma e Autismo

La maggior parte dei testi scientifici e divulgativi, così come molti clinici, affermano oggi che la causa dell'autismo è oggi delucidata, ed è imputabile a problematiche organiche, genetiche, metaboliche o altro.

Enigma e Autismo

Coloro che hanno un figlio o un congiunto che presenta problematiche di tipo autistico sono così oggi messi a confronto con una diagnosi che non lascia speranze, a cui non possono che rassegnarsi. Il peso della colpa di aver trasmesso ai propri figli un difetto o una “tara” di fronte alla quale ci si trova in una condizione di assoluta impotenza, è lasciato completamente sulle loro spalle. Vengono proposti programmi di riabilitazione nella speranza di poter recuperare almeno in parte alcune funzioni, programmi a cui i genitori sono invitati a partecipare come co-terapeuti, annullando se stessi, le proprie reazioni personali alle angosce e alle sofferenze che incontrano, ma anche le proprie soddisfazioni, per diventare esclusivamente “genitori di un bambino in difficoltà”.

Tutti sappiamo che un certo modo di intendere la psicoanalisi, specie in passato, ha altrettanto sbrigativamente cercato di risolvere l’enigma dell’autismo, imputandone la causa ad una cattiva o non sufficiente buona relazione parentale, e in particolare fra madre e bambino. Si tratta di quel campo della psicoanalisi che, avendo abbandonato le scoperte freudiane, ha fatto del supposto percorso evolutivo “normale” l’ideale a cui tendere, e tacciando i genitori di coloro che a questo ideale difficoltà non corrispondevano di essere la causa delle difficoltà dei bambini.

Ora, la psicoanalisi per come Freud l’ha inventata mette piuttosto in luce che la relazione non è mai sufficientemente buona, che tutte le relazioni, in primis quella fra la madre e il suo bambino, sono difficili, ricche di inciampi e inoltre che i bambini, fin dalla loro venuta al mondo, rispondono in modo anche radicalmente diverso a ciò che incontrano.

Jacques Lacan è uno psicoanalista che ha ripreso questi principi freudiani, aprendo una nuova prospettiva sul modo di considerare l’autismo. Per la psicoanalisi secondo J. Lacan non si tratta di negare la presenza, in molti casi di autismo, di patologie organiche rilevabili, o anche di supporre che altre se ne possano individuare in futuro. Non si tratta neppure di negare il ruolo di eventuali traumatismi che, al di là della “buona” o “cattiva” condotta di un genitore, possono aver colpito un bambino.
Si tratta invece di affermare che ciascuno di questi o di altri elementi costituisce una contingenza a cui non tutti i bambini rispondono in modo uguale, così come genitori diversi rispondono in modi diversi.

Si tratta di affermare che ciascuno, di fronte alle contingenze le più diverse, ha delle chance e dunque che occorre scommettere sulle possibilità di un soggetto, per quanto queste appaino remote, piuttosto che sui suoi difetti o sulle sue disabilità.
E’ per questo che la psicoanalisi secondo l’orientamento di J. Lacan non considera il bambino autistico un bambino che presenta una serie di deficit, bensì lo considera un soggetto, un soggetto a pieno titolo che risponde in una maniera propria, che a volte comporta un’enorme sofferenza, a ciò che accade.

Un soggetto sulle cui peculiarità e sulle cui possibilità, per quanto minime, è conveniente scommettere.
Le attività di riabilitazione motoria, linguistica, cognitiva o altro oggi spesso vengono prescritte secondo protocolli più o meno rigidi da cui alcuni soggetti ritenuti “non adatti” sono automaticamente esclusi. Si tratta di strumenti importanti, che però vanno inseriti nel contesto di una relazione particolare con ogni singolo bambino, una relazione che innanzi tutto lo accolga come unico e che ne valorizzi le particolarità, le capacità e le trovate.
In quest’ottica il genitore non è ridotto a co-terapeuta del proprio figlio, ma può trovare anch’egli un proprio posto innanzi tutto come soggetto che soffre e che gioisce, che ha un’esperienza che è unica, e che ha certamente scoperto, nella relazione con il proprio figlio, una quantità di dettagli che è fondamentale valorizzare. Ciò può permettere, e l’esperienza clinica lo dimostra, a ciascuno di trovare un modo per uscire dalla condizione di impotenza in cui una diagnosi “senza scampo” può gettare, per trovare ognuno i suoi modi, nuovi, inventivi, creativi, per avere a che fare con le difficoltà, non perché le difficoltà possano essere eliminate, ma perché diventi meno pesante sostenerle.



Paola Bolgiani

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