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Psicoanalisi Oggi

L'attualità della psicoanalisi
A cura di Rosa Elena Manzetti con la collaborazione di Mary Nicotra

Psicoanalisi Oggi

28 Aprile 2013

Funzione dello psicoanalista nella cura in Freud e Lacan

Per parlare della funzione dello psicoanalista nella cura occorre innanzi tutto definire qual è la finalità di una analisi e in che cosa si differenzia da una psicoterapia.

  Freud ha mostrato questa differenza in atto quando ha abbandonato la tecnica ipnotica come mezzo per ottenere la remissione dei sintomi attraverso la suggestione, per inventare la psicoanalisi come metodo di indagine sulla causa dei sintomi stessi. Attraverso questo passaggio, egli ha potuto scoprire che i sintomi, così come le manifestazioni della psicopatologia della vita quotidiana, hanno tutti la medesima struttura e che hanno un senso, che occorre reperire non a livello della coscienza, ma sul piano inconscio. Il soggetto, dice Freud, sa che cosa significa il suo sintomo, il suo sogno, il suo atto mancato, solo che non sa di saperlo, e per questo crede di non saperlo.

Per Freud la funzione dello psicoanalista è dunque quella di condurre la cura in maniera tale che questo sapere si produca, sia reso disponibile all’analizzante. Compito dell’analista è dunque quello di interpretare, all’interno di quel legame particolare che è il legame di transfert, il senso cifrato dei sintomi. 

Occorre mettere in rilievo che per Freud con l’interpretazione non si tratta di apportare ai sintomi un significato di cui l’analista sarebbe il detentore, bensì si tratta di produrre quel sapere che sta dalla parte del paziente, e di cui, dato che si tratta di un sapere inconscio, questi non sa nulla. Possiamo quindi dire che per Freud la funzione dell’analista non è né quella del terapeuta che opera per la remissione dei sintomi, né quella dell’esperto che apporta un sapere sul sintomo, ma quella dell’interprete nel senso di chi legge ciò che è cifrato nel discorso del paziente.

Già Freud, tuttavia, mostrava fin dalla sua opera sull’interpretazione dei sogni, che l’interpretazione non consentiva di elucidare pienamente il sintomo o il sogno o la formazione dell’inconscio, e che tutte le interpretazioni portavano ad uno stesso punto terminale, una sorta di nucleo ininterpretabile che chiamava in quel testo “ombelico del sogno”.

E’ in rapporto a questo punto su cui le interpretazioni convergono e che non è tuttavia suscettibile di interpretazione, cioè che si colloca fuori dalla portata del senso, che Lacan fa un passo oltre Freud rispetto alla funzione dell’analista nella cura.

Per Lacan la funzione dell’analista non è più quella dell’interprete ma quella di presentificare in atto quel punto di ininterpretabile e di non senso che si trova al cuore di ogni interpretazione. Certo, in una cura occorre necessariamente passare attraverso la decifrazione che Freud aveva scoperto e che svela al soggetto un sapere che lui stesso ignorava, ma con Lacan si tratta di andare oltre la dimensione del sapere inconscio per giungere a cogliere ed accogliere che il linguaggio, ridotto all’osso, è puro non senso, è incontro traumatico che colpisce l’essere e lo snatura nella sua relazione al corpo, agli altri e al mondo.

E’ in questa diversa funzione dell’analista nella cura che Lacan può giungere, a differenza di Freud, a costruire una teoria della clinica della fine dell’analisi. Se infatti dal lato dell’interpretazione e del senso inconscio non si può trovare un punto di arresto, in quanto dopo una formazione dell’inconscio ne segue un’altra, e dunque l’analisi non potrà che essere infinita, con Lacan abbiamo la possibilità di verificare una fine dell’analisi che si produce nel punto in cui il soggetto può assumere come causa del funzionamento stesso dell’inconscio e della produzione di senso, il puro non senso.


Paola Bolgiani

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