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Psicoanalisi Oggi

L'attualità della psicoanalisi
A cura di Rosa Elena Manzetti con la collaborazione di Mary Nicotra

Psicoanalisi Oggi

04 Marzo 2012

Considerazioni sull'autismo

Un regime di dittatura protettrice è il modo in cui Annick Deshays, un'autistica mutacica e colta, definisce, nel suo libro, le pratiche di educazione coercitive imposte ai soggetti autistici dai metodi comportamentali in modo universale ed uniforme

Considerazioni sull'autismo

Un regime di dittatura protettrice

Un regime di dittatura protettrice è il modo in cui Annick Deshays, un'autistica mutacica e colta, definisce, nel suo libro, le pratiche di educazione coercitive imposte ai soggetti autistici dai metodi comportamentali in modo universale ed uniforme.[1]

Si tratta di un’espressione preziosa perché potremmo utilizzarla come metafora della condizione stessa del soggetto autistico, che vive in una sorta di dittatura che lo protegge dagli attacchi del mondo esterno. Pensare, però, di conseguenza che si tratti di abbattere un muro, non fa che mettere in atto il paradosso della società attuale che impone ai regimi dittatoriali la democrazia passando attraverso la guerra.

Quale altra via per un lavoro con l’autismo che non implichi l’utilizzo di bombe relazionali e di invasioni territoriali, attraverso stimolazioni coatte e coercizioni tramite il metodo dei premi e delle punizioni, e che invece scommetta su un’esistenza singolare del soggetto nel legame?

In effetti la valutazione degli interventi non può essere troppo miope: riprendendo la metafora geopolitica possiamo constatare che laddove l’occidente ha imposto la democrazia, le popolazioni hanno pagato e continuano a pagare un altissimo prezzo e la democrazia va mantenuta con la forza delle armi.

 

Il bambino autistico è un bambino

La tendenza attuale di applicare ai bambini autistici protocolli e procedure di riabilitazione standardizzate rischia di far dimenticare che un bambino autistico è anzitutto un bambino, e che identificarlo con la sua patologia lo riduce ad un organismo mal funzionante che occorre riparare. Con un bambino, così come con ciascun soggetto, ciò che è primariamente importante è riconoscere l’individualità unica di cui è portatore, e di conseguenza la relazione particolare che con lui si può stabilire. Il compito di un’istituzione, sia essa la famiglia, la scuola, il servizio terapeutico, è anzitutto quello di riconoscere e fare posto a quella particolarità, pena il rischio di trasformarsi in una macchina dispensatrice di cure e di riabilitazione, magari altamente tecnologica ma completamente disumanizzata. Si rischia in tal modo di mettere in atto il famoso adagio: “L’operazione è perfettamente riuscita. Il paziente è morto”.

 

Non raccomandabili

Perché la relazione finale del tavolo di lavoro sulle problematiche dell’autismo, istituito dal Ministero della Salute fra maggio 2007 e gennaio 2008 indica come “non raccomandabili” le tipologie di intervento che non rientrano nell’ambito cognitivo-comportamentale? Su quali evidenze scientifiche, che non siano delle mere correlazioni statistiche, vengono indicati come “non raccomandabili” gli interventi di tipo relazionale, e in particolare quelli orientati dalla clinica psicoanalitica?

“Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute”?[2] Non sono gli psicoanalisti ad affermarlo ma le Linee Guida per l’autismo redatte dalla Società Italiana di Neuropsichiatria nel 2005. D’altra parte la psicoanalisi non ha alcun interesse ad entrare in una discussione sulle cause – organiche o meno – dell’autismo. Essa ha però l’interesse di preservare il posto della particolarità di ciascun soggetto e il diritto a ciascuno alla differenza e alla non omologazione. Rivendica il diritto delle famiglie di poter scegliere quali cure desiderano per i loro cari e in chi riporre la loro fiducia, e il diritto dei soggetti autistici di non essere messi in condizioni in cui la loro angoscia è amplificata, ma viceversa di essere ascoltati, sostenuti e accompagnati nelle piccole e grandi invenzioni quotidiane che mettono in atto perché il mondo sia per loro più vivibile.

 

E le famiglie?

Chi lavora quotidianamente con genitori e famigliari di bambini autistici conosce il dramma profondo di queste persone, che si trovano a scontrarsi con il fatto che il loro amore e la loro dedizione spesso non aiutano il bambino a uscire dall’isolamento in cui si trova recluso. Sono persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, vogliono il meglio per i loro figli e non smettono di credere nella possibilità che “qualcosa si possa fare”. Per chi lavora con bambini autistici, la loro esperienza è preziosissima, indispensabile.

La psicoanalisi insegna ad accogliere ciascun soggetto con le sue fragilità, senza giudizio. Così un genitore, per coloro che si occupano di bambini autistici a partire dalla difficoltà della relazione, non è ridotto ad un co-terapeuta che dovrebbe seguire le istruzione degli esperti, ma è anzitutto un soggetto da accogliere con la sua sofferenza e con cui instaurare una relazione di fiducia.

 

 

 *  la riflessione nasce  dall'esperienza condivisa e  maturata alla  Comunità terapeutiche Le Villette  (Direttore Clinico Dott.ssa Paola Bolgiani)



[1] A. Deshays, Libres propos philosophiques d'une autiste, Presses de la Renaisssance, Paris 2009, p. 57.

[2] SINPIA – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Linee guida per l’autismo, Edizioni Erickson, Trento, 2005

 

Paola Bolgiani AE membro Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, Raffaella Borio partecipante SLP, Monica Buemi partecipante SLP, Mary Nicotra partecipante SLP, Rosanna Tremante membro SLP. *

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