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Psicoanalisi Oggi

L'attualità della psicoanalisi
A cura di Rosa Elena Manzetti con la collaborazione di Mary Nicotra

Psicoanalisi Oggi

11 Luglio 2011

La parola propria a ciascuno

L'inconscio è particolare a ciascuno ed è a causa della sua esistenza che lo psicologo, il terapeuta, il medico che intende lavorare secondo una certa etica non può esimersi dall'iniziare un'analisi.

La parola propria a ciascuno


Chi inizia un’analisi, che si tratti di un medico, di un artigiano, di un insegnante constata quanto il desiderio di iniziarla, la fiducia nel metodo e l’impegno cosciente a comprendere sé stessi valgano poco cosa rispetto al potere delle resistenze.
Ciascuno nasconde a sé stesso il cuore della propria questione.
E’ così solo a partire dalla mia analisi che posso autorizzarmi a svolgere la professione di psicologa. Come potrei sostenere un altro nell’impresa analitica senza aver sperimentato questo personalmente? Sarebbe come convincere qualcuno di cosa è bene e cosa è male per lui, senza aver la minima idea di cosa è opportuno per se stessi.
In analisi il lavoro si compie parlando e quando si parla non si può che farlo a partire dalle proprie mancanze e dagli inciampi della vita, affinché nasca una parola nuova. Nell’immaginario comune l’inconscio è rappresentato come un buco, un luogo oscuro quasi dantesco in cui sarebbero sepolti vecchi scheletri, che l’analista avrebbe il compito di riesumare. L’analisi non è questo, non è ascrivibile ad una dimensione di verticalità come alcuni analisti hanno erroneamente trasmesso, è un percorso orizzontale dove si parla per imparare a parlare veramente. La psicoanalisi è creativa quanto rigorosa nel metodo e sopra ogni cosa non è una terapia basata sull’empatia, sulla comprensione dell’altro. L’empatia è una qualità importantissima nelle professioni di aiuto alla persona, ma non nella clinica, dove la persona chiede giustamente di essere curata non consolata o capita. Per approfondire questo discorso sento la necessità di portare gli inizi della mia analisi, affinché l’esperienza possa dire ciò che le parole non riescono a trasmettere.
Seconda seduta: l’analista mi chiede: “Dunque lei cosa può pagare?” “Io, cosa posso pagare?” risposi. Rimasi sbalordita come se il mio mondo si fosse rovesciato o forse come se avessi rovesciato la mia vita nel senso comune delle cose. Dissi un prezzo, nel giro di due mesi non riuscii a pagare la cifra che io avevo stabilito. Incredibile! Avrei potuto proporre di meno ma non lo feci, così arrivai imbarazzata a dire: “Dott.ssa non posso più venire, non ho soldi per pagarla”. Frequentavo lo studio dell’analista due volte alla settimana. “Bene  -disse lei- d’ora in poi verrà tre volte alla settimana” e lì…in quella pausa fra la prima e la seconda parte della frase pensai: è impazzita o non mi ha sentita forse? “Verrà - continuò- tre volte e pagherà ciò che può”.
Uscii dalla studio pensando fra me: “Ciò che posso, non so cosa posso?”
Sono passati anni da allora e in tutta la mia vita nessuno mi fece una proposta tanto bizzarra eppure nessuno mi sostenne come allora. Lessi, con il passare del tempo, l’intervento dell’analista in questi termini: dovevo lavorare di più, ma a partire da ciò che potevo investire e non secondo una regola generale. Ebbi così, già all’inizio del lavoro, concreta testimonianza di cosa significhi desiderare.
Andai dall’analista tre volte alla settimana per un tempo discretamente lungo, e quel luogo divenne la dimora delle mie parole, il luogo da cui uscire e dialogare con l’altro. Per anni capii pochissimo di ciò che mi portava a tornare lì, eppure la mia vita cambiava e io con lei, senza retoriche né consigli. Parlavo e pagavo, nel senso che perdevo qualcosa, spurgavo il dolore di cui mi lamentavo e talvolta, da una seduta all’altra, di qualcosa non parlavo più, perché quella cosa non esisteva più per me. Era andata, consumata nel discorso e con lei gli effetti sul corpo.
 

Alessandra Fontana

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