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Psicoanalisi Oggi

L'attualità della psicoanalisi
A cura di Rosa Elena Manzetti con la collaborazione di Mary Nicotra

Psicoanalisi Oggi

02 Maggio 2011

Un corpo che imbroglia

Gli albori della psicoanalisi nascono con la questione del corpo in primo piano. Il corpo delle giovani isteriche, che mette in scacco il sapere tradizionale e ufficiale della medicina per le sue inspiegabili manifestazioni, parla ad orecchi sordi che lo lasciano cadere senza risposta.

Un corpo che imbroglia

Ci vuole l’ingegno del neurologo Freud perché ciò che finora è rimasto un semplice organismo possa diventare un corpo che dice, che parla all’altro. Freud ascolta il lamento di qualcuno che parla del suo corpo che non funziona e si accorge che questo corpo è preso dentro a delle parole, a cui in qualche modo esso risponde. Ascoltandolo perché suppone che abbia da dire qualcosa, egli mette il corpo nella condizione di parlare. Il corpo fa esperienza di essere abitato dal linguaggio che lo trasforma e che in qualche modo lo forgia, gli lascia dei segni particolari che lo rendono unico rispetto ad un altro.
Tuttavia, come ciascuno di noi può fare esperienza, c’è un altro aspetto del corpo che non ha tanto la funzione di parlare, quanto piuttosto quella di godere.
Sì perché in qualche modo un corpo, prima ancora di parlare, dopo aver acconsentito all’entrare nella parola, un corpo gode. Gode di qualche oggetto, di ogni oggetto che gli consente di soddisfare le pulsioni da cui è abitato. È su questa via che si scopre che nell’umano un organismo può sì diventare un corpo, qualcosa di organizzato e che in qualche modo risponde, ma che tuttavia non tende all’armonia. Qualcosa di esso resiste e, invece di tendere al piacere, procura dispiacere e talvolta in questo insiste. È questo l’imbarazzo, l’imbroglio che ogni essere umano può incontrare nel proprio corpo, nel non poterlo del tutto padroneggiare, nel non poter soddisfare completamente le pulsioni che lo abitano e che non cessano di farsi sentire. Questo è il corpo grazie a cui Freud ha potuto fondare la psicoanalisi: un corpo preso nel linguaggio, che grazie ad una analisi si mette a parlare e a dire la causa che provoca la nostra sofferenza. La ritaglia attraverso il dire e l’analisi della grammatica pulsionale che lo regola. Esiste però anche tutta una serie di fenomeni in cui il corpo diventa la sede dell’ azzeramento di qualsiasi soggettività. Esso viene ridotto a insegna muta, desertificata di qualsiasi pulsione vivificatrice, sede di un dolore che può solo ossessionare e non dice null’altro da se stesso oppure terreno di una distruzione senza limite, perché quel corpo perseguita. In queste situazioni non ci troviamo tanto di fronte al corpo come luogo di compromesso tra la pulsione e il linguaggio, in cui qualcosa risponde a qualcos’altro lasciandosi andare ad una scrittura flessibile di parole concatenate.
Piuttosto siamo di fronte ad un corpo che serve al soggetto per incidere delle lettere, delle scritture monolitiche, geroglifiche che segnano dei punti di ancoraggio. In questo caso un certo trattamento o bistrattamento del corpo non costituisce tanto  un qualcosa che accade a un soggetto e che lo interroga. E’ piuttosto qualcosa che lo accompagna e ne costituisce l’identità come una soluzione. Sara ad esempio quando gli chiedo di dirmi perché è venuta da me, senza tanti giri di parole mi dice che è angosciato dai resti del suo corpo, molli e privi di consistenza, conseguenti all’assunzione di un farmaco. Il suo corpo produce continui rumori e si sente assolutamente svuotata. Prima era tutto regolare ed ora non lo è più. Quando gli domando come mai ha pensato di rivolgersi a uno psicologo, non esita a rispondere che il medico gli ha detto che è un problema di testa. Quando gli chiedo invece che cosa ne pensi lei, risponde che non sa e che forse c’è un problema di sistema di collegamento nervoso tra testa e stimolo. Cogliendo che su questa via c’è un cortocircuito, le dico che non so se la psicoanalisi possa fare qualcosa per quel suo problema specifico lì. Ma che se vuole la psicoanalisi può offrire un luogo regolato in cui ascoltare le sue preoccupazioni. Ciò che Sara domanda al termine di un incontro, dopo aver parlato di una persona a lei cara ricoverata in ospedale per una grave malattia, è: “La mettiamo a posto la cosa?”. Gli rispondo che ci vuole del lavoro e che però mi sembra importante che abbia scelto di portare la cosa in questo posto. Nel momento in cui la parente rientrerà a casa dall’ospedale, Sara dirà di essere meno ansiosa e che ora dovrà occuparsi che questa persona prenda tutte le medicine e che, essendo ritornata una regolarità, dovrà rivalutare la frequenza degli incontri. Per Sara il corpo non  parla, non apre un’interrogazione su qualcosa che la trascende: è una macchina che non funziona più. Dice bene che qualcosa è andato fuori posto e che questo fuori posto è ciò che la tormenta. Coglie che non è la prima volta che capita, che sono capitati altri episodi in cui sentendo parlare di gravi malattie ha fatto una trafila di esami perché convinta di averle, nonostante i ripetuti esiti negativi . Racconta dell’ansia per i suoi cari, del suo essere ritornata a casa per paura che potesse succedere loro qualcosa, ma in realtà non è sostenuta da un’interrogazione. È angosciata perché la cosa è andata fuori posto e cerca l’aiuto di qualcuno per ripristinare la sua regolarità. In questo caso non si è cercato di far parlare il suo corpo ma Sara, per reintrodurre con la parola una regolarità smarrita. 



 

Davide Pegoraro

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