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14 Aprile 2011

La contessa di Salasco

Oggi, a distanza di un secolo, Maria è diventata un fantasma che nessuno conosce.Eppure, è stata una delle più belle ed intraprendenti nobildonne dell'800 ed ha vissuto l'intera epopea del Risorgimento

La contessa di Salasco

Rumore e polvere,  rombo di  cannoni, carrozze, cavalli...tutto turbina davanti   agli  occhi  neri  di  Maria. Occhi  grandi,  pieni  di  spavento che  a tratti mandano  bagliori e si  spalancano in  un grande vuoto.
Questa è  nei  suoi  ultimi  anni  la  contessa  di  Salasco: una  povera folle che  trascorre le giornate vestita di rosso nonostante l'età. Anche le pareti della sua  camera  sono letteralmente tappezzate di drappi rossi come le famose camicie garibaldine.
Chi  la  vede,  agli  inizi  del  novecento, in una casa di  cura di  Mendrisio cerca  nel  suo volto le  tracce  di una bellezza che è stata leggendaria.
Scomparse.
 Oggi, a  distanza  di  un  secolo, anche  Maria  è  diventata un  fantasma che  nessuno conosce.
Eppure, è stata una delle più belle ed intraprendenti  nobildonne dell'ottocento  piemontese,  ha vissuto tutta intera l'epopea del  risorgimento, ha conosciuto ed   amato Garibaldi,  ha   scritto montagne  di  lettere, ha  avuto amicizie  prestigiose,  ha  pubblicato libri.
  La sua storia,  la  si  può ora raccontare solo con  molte  lacune  perché  ancora    si cercano di scoprire, e con molta  fatica, i lati oscuri di una vita inquieta e decisamente  fuori  dall'ordinario.
Maria  nasce  bene, in  una  prestigiosa  famiglia piemontese attorno al 1830.  Al  fonte  battesimale  è  Maria Luisa Alessandra Flavia Canera  di  Salasco, figlia
del  famoso conte Carlo, aiutante generale di re Carlo Alberto al momento della   prima  guerra di  indipendenza. Tocca a lui firmare l'armistizio che decide il destino  sfortunato di  questa operazione  militare e dello stesso re;  con l'esilio volontario di  Carlo Alberto viene  esonerato dall'incarico e si ritira nella sua  bellissima  dimora  in  Pinerolo.
Cresciuta lontana dal  padre e  sotto  tutela  di  una  madre  bella e intelligente,  Marianna  Pallavicino delle Frabose,  Maria  è  libera,  irrequieta  e  selvaggia,  forse troppo.  Ama  ogni  tipo di sport, cavalca  furiosamente e  maneggia la sciabola  assai  meglio dei  suoi  fratelli.  Ha il  temporale  negli  occhi,  la  guerra  nel sangue  ed una  irrequietezza  curiosa che la madre cerca di affinare mandando la  ragazza a  studiare in  Francia  e in Inghilterra secondo le  migliori  tradizioni  liberali. Con  un'istruzione  così  larga, Maria parla, legge e scrive correntemente in  francese, inglese  e tedesco

Quando scoppiano le  cinque  giornate di Milano incrociamo per la prima volta  Maria,  non  esattamente sulle barricate  in  quanto  giovanissima,  ma ampiamente  coinvolta con i rivoluzionari. Lei che a Milano dichiara di esserci nata ha  modo di  conoscere i Manara e i Dandolo, il  conte Martini e la bella società della nuova  Italia  risorgimentale, trovando fuoco alla sua passione per le grandi imprese romantiche. 
 La  madre, tutrice unica della ragazza,vede fin troppo bene l'irrequieta  intelligenza della ragazza, il suo troppo  facile infiammarsi  alle cause ed alle idee  nuove, e ne vede anche la straordinaria   bellezza.
Oggi  rimangono poche immagini di  Maria,  ma i report del tempo anche i più  malevoli la dicono in effetti bellissima e non  solo,  anche estremamente  seducente.

Uno  scrittore  di  fine  ottocento, Curatolo la  descrive  così :
“Con due occhi neri che mandavano saette, essa fu veramente bella, di una bellezza affascinante,aristocratica. Vestiva sempre alla militare, cosi come ce la rappresentano le stampe dell'epoca. Fiera nel portamento, Maria Martini camminava come la bellissima contessa di Castiglione”
In  poche  parole, con  quel  temperamento, quei modi e  quel  volto, la ragazza  è  da  maritare prontamente.
Tra i molti spasimanti  uno è particolarmente  insistente. É il conte Enrico  Martini  Giovio della  Torre.
Enrico Martini vive solitamente tra Milano e la villa di S. Bernardino, alle porte di Crema, dove è nato nel 1818. La villa, oggi luogo romantico e semi-abbandonato, è  verso la  metà  dell'ottocento un  rifugio accogliente  e  protettivo  per i migliori patrioti  lombardi, amici del  conte. Enrico  ha  da  poco  perso  la  giovane  moglie Deidamia, morta dopo appena otto mesi di  matrimonio; una perdita  enorme,  seguita  poi  nel  tempo da  quella del  fratello  di  lei, Luciano  Manara.
Esiste un  buon carteggio fra i due amicissimi cognati custodito assieme a  tutte  le carte del  conte Enrico presso il  museo del Risorgimento di  Milano.
Siamo nel vivo delle speranze  risorgimentali. Le lettere  sono  vibranti, intrise  di ideali luminosi. Luciano seguirà  in breve  la sorella nella tomba  immolandosi nel 1849 durante i fatti della Repubblica  Romana. Ahimè, il luccichio   delle  sue spalline avrebbe attirato il fuoco  nemico; alla  moglie Carmelita,  rapita  e  sposata giovanissima,  non  sarebbero restati che i  tre figli piccoli e  una tristissima  e commovente lettera inviata dal fedele Enrico Dandolo.
 Luciano, l'eroe risorgimentale, muore  a soli 24  anni.Il cognato Martini che viceversa non è  un patriota da grandi battaglie ma  uomo da  salotto, si  fa da parte sua notare come gran diplomatico e dandy raffinato. Ecco come  viene descritto dai contemporanei:
“Bel giovane, di aspetto distinto, elegantissimo nel vestire, abbondante della parola, caro alle signore nonostante zoppicasse un tantino da un piede come Talleyrand, pieno di ingegno e di spirito, facile ad apprendere le lingue
(ha recitato in francese con alcune dame a scopo di beneficenza al Teatro Re, ricavandone fama di ottimo filodrammatico), frequenta la più eletta società milanese Cosa strana, però, egli non ha saputo conquistare completamente nei saloni le simpatie degli uomini più autorevoli, vale a dire dì quella parte del patriziato avverso all'Austria, la quale non può vincere una diffidenza impulsiva verso l'insinuante cremasco”.
Sarà  proprio l'abile conte Martini l'inviato dei  milanesi in rivolta alla  corte    sabauda nel  marzo  del  1848 e la missione gli vale riconoscimenti e incarichi prestigiosi da parte di Cavour e di Lamarmora a Parigi, a Roma, presso il Vaticano ed un seggio a Genova  quale deputato.
Puntuale anche la ritorsione del governo austriaco: al transfuga vengono  confiscati tutti i  beni.
Questo fatto mette il conte  in  una  situazione spiacevolissima.  Fresco sposo  della nostra bella Maria, si trova di colpo a Parigi dove risiede, con le tasche vuote,   lui che non aveva mai voluto accettare stipendio dal governo sabaudo, con  l'orgoglioso pretesto  di  avere  largamente  del  suo.   Maria poi, non  è donna  che  si contenta e spende a piene  mani  con l'incoscienza del  suoi  vent'anni e  le  follie  del  suo  temperamento.
Già  più grande di  lei di una dozzina  d'anni  e  claudicante, il  conte  Enrico ha dovuto faticare molto per  convincerla al matrimonio.  Per mesi nel 1850,  ha  messo  in  atto un  assiduo corteggiamento  in  quel di  Pinerolo, arrivando di  sera a far  serenate  con la  chitarra  sotto le finestre di casa della bella.
La  dimora in  questione, che mantiene anche oggi l'antico  nome  del Torrione,  è tuttora  splendida, a  dispetto delle vicende dell'antica proprietaria,  E'  una  villa seicentesca che all'epoca, (siamo intorno al 1850) la famiglia Salasco abita frequentemente. Il generale e la moglie se ne erano innamorati al  punto di indebitarsi pesantemente, all'epoca in cui lui era ministro della guerra, per trasformare il complesso preesistente da  almeno quattro  secoli in una residenza-scrigno tipica delle  grandi dimore  ottocentesche. Oggi  che  è  la dimora  di Anna Doria  Lamba,  molte stanze e l'atmosfera tutta, assai  particolari ci  riconducono a  Maria. Passando  in un immenso  parco all'inglese, uno  dei pochi  in Piemonte  dotato di  una “ ha”  che  permette  la vista  sulla  proprietà, ed immerso nel verde di  alberi  fruscianti, è come   se Maria  portata  dal  vento  ti  venisse  incontro con  i  suoi  cavalli,  le  sue sciabole, la sua  irruenza.
Qui  al  Torrione  tornerà  Maria, già in  rotta  con il  marito.
E' infelice, furiosa, amaramente delusa. Il suo trionfo nei  salon parigini è stato grandioso ma di  breve  durata.
I1 conte Antonio Casati, allora segretario della Legazione Sarda a Parigi, scrive all'amico di averla veduta la sera del 19 maggio 1853 " bella come una dea », e soggiunge cavallerescamente: “ Ritornata dal déjeuner dansant dato dai Faucigny in occasione del matrimonio del figlio colla Pallavicini-Mosco, essa fece onore ad un magnifico abito rosa che le donaste e che certamente non poteva essere messo
meglio in mostra che in dosso ad una così gentile signora “.
  Sembra  però che questa gentile signora non tenesse una condotta irreprensibile e che, fra le altre cose, si coprisse di debiti che il marito era costretto ad onorare e questo, dopo il sequestro dei beni  da parte  dell'Austria,  rende il menage un inferno
 La cronaca dell' epoca non è  per  nulla  tenera con  Maria.  Lapidariamente  il  Barbieri,  la  riassume  così:
“Colta e intelligente, ma frivola e vana, la contessa rese disgraziatissimo un uomo che pure aveva molte qualità per essere amato”.
Il contenzioso fra i coniugi è noto da tempo ma il conte Enrico, con la pazienza  di  Giobbe  ha sempre  taciuto e sopportato.
Maria invece, orgogliosissima e fiera non sopporta l'imperdonabile  umiliazione  di  un  marito che  piega  la  schiena e  promette  all'Austria  un ritiro in campagna  e l'abbandono di ogni attività  sediziosa
Maria è indignata e impaurita.  Via da Parigi,  via  da Torino, una  vita sepolta  nelle campagne del cremasco a 23  anni.
Maria litiga e urla, rimane a Parigi, poi, a corto di  quattrini,  chiede  aiuto al padre. Ne ottiene un fermo rifiuto alla separazione e forse la reclusione  in convento  pratica usuale all'epoca per  mogli e figlie particolarmente ribelli. Una sola fonte  riferisce questo. La realtà è che la costrizione, palazzo o convento c'è e che le  condizioni  di  vita  sono  inaccettabili.

Tra  i  motivi  del  contendere  c'è  anche  la  loro unica  figlia, piccolissima.
La  bimba ripete nel nome Virginia quello della mamma del conte, cui somiglia molto nella  persona. In mancanza  di un ritratto della giovane  Virginia che  morirà  nubile, appena passata la giovinezza, dobbiamo accontentarci del ritratto  della nonna,  una stupenda  signora, ritratta da Hayez in veste di mitologica di  Luna. (Non  sazio il grande pittore la ritraeva ancora nel grande quadro  dei  Vespri  siciliani dove  Virginia  sosteneva la  parte  della  fanciulla oltraggiata)
Poiché  né  il  padre né la  madre sono in grado di occuparsi adeguatamente della piccola, la madre per l'irrequietezza e l'instabilità, il padre per i motivi opposti,Virginia rimane a Parigi affidata alla sorella di Enrico, Emilia, contessa  Taverna.
Emilia è una donna elegante ed austera, fuggita dal marito conte di primo  mattino, con l'ardire di saltare  in carrozza e di  andarsene  da  sola a  Parigi, 
La contessa  Emilia, grande amica di  Adolphe  Thiers, riceve nel suo salon la élite intellettuale francese e straniera.
Alta, magra, lineamenti fini, capelli castani, guarda sempre con gli occhi dolcemente socchiusi, è in relazione con la contessa Clara Maffei, ma evita la principessa Belgiojoso come  del  resto limiterà  il  più  possibile  i  contatti con la cognata Maria. In un'epoca di crinoline, si  ostina a  portare  abiti  aderenti  e  neri. La contessa morirà nella sua villa presso Crema, l'8 febbraio 1899.
Emilia  Taverna e  Maria  Martini,  le  due  cognate,  non  potrebbero  essere  più  diverse. Maria nel  confronto,  risulta  subito perdente.
Incapace di  recuperare per intero la propria posizione dotale, instabile ed irrequieta, totalmente in rotta con le famiglie Salasco e Martini, per un temperamento  romantico e  avventuroso  come  quello  di  Maria  non   resta  che  la   fuga.
Maria come tanti esuli del tempo, poiché è poco provvista di denaro e  non osa andare a Parigi dove è troppo nota, va a Londra,  sede  di tutti i  fuoriusciti e dove si vive una  specie di  bohème che a lei molto si addice.
E' qui che conosce un uomo che sarà la sua fissazione per tutta la vita:  Giuseppe  Garibaldi.
La  data dell'incontro, il 10 maggio 1854, Maria la ricorda a lui ad ogni anniversario,  con  lettere devote e appassionate, sovente  sopra  le  righe.

Garibaldi,  quando la incontra a Londra rimane certo colpito da questa  aristocratica giovanissima signora (24  anni) dai modi spicci e dalle abitudini  sportive. Il  generale è  reduce  da una relazione con  Emma  Roberts una vedova e ricca signora inglese  che lo  ha  a  dir poco annoiato. Lei  lo avrebbe  voluto sposare ma alle abitudini di vita troppo aristocratiche di lei, lui  non riusciva  ad adattarsi:
« Un servo ad ogni passo, e poi tre ore a pranzo e mai l'ora di andare a letto. Un mese di questa vita, esclamava il Generale, mi avrebbe ucciso! ».
Quanto spazio può dare Garibaldi  ad una  donna  nella  sua  vita  tumultuosa da  eroe   dei  due  mondi? Non  molto.
Se c'è relazione sentimentale e fisica (Montanelli se  ne dice certo,  altri sono  più cauti), essa avviene  secondo uno schema che è sostanzialmente un classico  nella  vita  del generale.
Lui non cerca le donne, non ne ha assolutamente bisogno. Sono loro che  cercano lui, a frotte, colpite dalla sua  leggenda  e dai  suoi  modi. Un garbato signore  dal  sorriso dolce e dai modi impeccabili che controlla la  gente col corruscare  degli occhi dal colore mutevole e che esprimono una forza straordinaria. Garibaldi è  quello che è ed  anche  quello che i suoi  uomini e le sue donne vogliono che  sia.
Per  Maria è l'eroe puro, l'uomo perfetto, l'uomo cui sacrificare tutta l'esistenza
L'amore, a prima vista, è  per  entrambi il classico colpo di fulmine. Tanto che Maria gli scrive: «Sarò cosa vostra. Ve lo giuro».
Cavalleresco e  gentiluomo,  Garibaldi non è insensibile alle manifestazioni di affetto da qualunque gli vengano, e sa sempre trovare, sopratutto nei momenti di grande sconforto e di disperazione delle sue molte  donne, parole dolci e  rassicuranti
Per la natura irrequieta, e l' anima angosciata, le lettere di Maria risultano sempre tragiche,  romantiche, assolute. Il carteggio tra Garibaldi e  Maria,  durato  quasi  vent'anni,è  ricco  delle frasi  ardenti  di  lei  e   delle  affettuose  e pacate  risposte   del  generale

Liguria, 4 febbraio 1860.
Amico mio,
Nelle ore vostre tristi, sovvenitevi di me. Quando avrete bisogno di me, domandatemi. Sono tutta vostra
Maria.
 La  contessa  non  ha  limiti e  si offre all'eroe come compagna «indivisibile nella gloria e nella sventura». Garibaldi cerca di dissuaderla, ma forse senza troppa convinzione
  Maria riesce infatti  a  sopravvivere  alle  sue  sventure  solo con una  vita intensissima, mescolando  amore e politica, fanatismo e sacrificio.
Infiammata dai discorsi di mazziniani e  garibaldini londinesi, così  simili a quelli  dei patrioti  milanesi, la contessa decide  di darsi  anima e corpo alla causa.  Scrive  e  tiene  discorsi,
Nel 1859, prima di tornare in Italia, scrive in francese un libro sulla politica italiana   che intitola” Episode Politique en Italie”. La sua firma è orgogliosa e tutta per  esteso "Madame la Comtesse della Torre M. Martini Giovio, nata contessa Pallavicini Salasco".

Frequenta  anche, lei avvezza alle battaglie e al sangue e forte di carattere i corsi da infermiera che a Londra vanno proponendo le seguaci di Florence  Nightingale.
Legge e impara ad  applicare i metodi  del famoso libretto della  nurse che  resta  ancor oggi  il fondamento  di ogni azione infermieristica.
Sarà  brandendo questo e vantando queste sue  conoscenze che la vediamo a  Milazzo  all'impresa  dei  Mille.
"Una strana donna che Garibaldi aveva incontrato a Londra nel 1854, e che era ormai uscito di unirsi a lui sul campo di battaglia, con indosso una tunica ussaro, un grande cappello piumato, e una spada di lunghezza improbabile" (Garibaldi e i suoi nemici, Christopher Hibbert).
Pochissime furono le donne oltre a Maria, che vengono ammesse da Garibaldi  all'impresa,  Jessie White Mario. qualche ragazza del popolo che si intrufola  alla  belle e meglio a insaputa del  generale e, unica a comparire nell’elenco ufficiale dei Mille, Rosalia Montmasson, savoiarda di Saint Jorioz (Annecy), la compagna, poi ripudiata, di Francesco Crispi.
E' dopo l'entrata delle camicie rosse in Palermo che la  contessa non sa più resistere al desiderio di recarsi in Sicilia, che raggiunge il 21 luglio; due giorni prima della battaglia di Milazzo, il « Precursore », un giornale che si pubblica in Palermo, così ne annuncia l'arrivo:
« La contessa Maria Giovio della Torre, che in Crimea prestò tante cure ai feriti con la celebre signora Nightingale, appena arrivata in Sicilia si è messa a capo di
un'eletta schiera di giovani donne a raccogliere collette pei nostri feriti. Le madri di questi valorosi verseranno lagrime di gioia, vedendo che i loro figli trovano le
più care mostre di affetto, e noi siamo nel dovere di contribuire a quest'opera di paterna benevolenza ».
Maria si conduce da intima del generale, sempre accanto a lui, al comando,  nelle sue stanze.
La  incontra lì e quasi  non  la  riconosce  il conte Giulio Litta  Modigani
che così  scrive  nel  suo  diario: ”Prima di sedere a colazione, entrò nella sala una donna con un  sombrero chiaro in testa, ornato di velluto a pensé » e due pomponi idem. Aveva una giacchetta di tela russa greggia, or nata come quelle delle Guide di Garibaldi e la veste corta di eguale tela, ricca di pieghe, ma senza « cage 
per calzatura poi, aveva degli stivali di pelle nera, che le arrivavano al ginocchio. Cotesto «accoutrement» mi colpì molto; ma il mio stupore fu non poco, quando vidi
che questa persona, che in viso mi sembrava tutt'altro che attraente, mi salutò disponendosi a parlarmi. Ma in quel momento il Crispi, avendola fatta entrare, io non potei avvicinarmele; però, essendo accompagnata da un siciliano, mi rivolsi a lui per sapere qualche cosa sul conto di questa persona, il cui strano contegno mi aveva colpito. Questi mi disse essere una signora  De la Tour, di origine italiana, che aveva vissuto quasi sempre in Inghilterra fino a quindici anni, poi si era stabilita in Francia... Aveva terminato appena di darmi questi ragguagli, che questa signora ritornò nella nostra camera. Era la contessa Martini che avevo dinanzi a me, ed io non potevo rinvenire dallo stupore di un simile incontro! Allora ci salutammo con maggiore confidenza. Vedendola da vicino, si poteva scorgere che il tempo e il suo strano vivere avevano fatto non pochi guasti sui suoi tratti, una volta generalmente reputati di non comune avvenenza. Essa mi narrò che partiva per Milazzo, dove con altre signore andava a dedicarsi alle ambulanze ».

Ma  il  conte l'ha  conosciuta  nello splendore dei  suoi venti  anni. La vita  ha  inciso  e  anche le  difficoltà  e il molto  sport. Ma  anche  con  quella pelle dorata  dal  sole  e tagliata  dal  vento  il  garibaldini  ne  restano affascinati
Giulio Adamoli, la ricorda così: «E non potrei finalmente passare sotto silenzio (...) la seducente contessa Martini Salasco, di antica prosapia piemontese, la quale, nella illusione, in cui era, di prestar aiuti e di distribuire soccorsi, cavalcava fra mezzo le squadre garibaldine in un leggiadro costume, che arieggiava l’uniforme delle Guide, e volentieri si soffermava presso il nostro comando»
 A Milazzo e a Barcellona, dove sono gli ospedali dei feriti, non si vuole saperne di lei. Il rigido Dr. Ripari la fa espellere dalle ambulanze; ma sembra che lei non sia pronta ad obbedire neanche al Dittatore;  corre voce, che Garibaldi  una  volta la  voglia  cacciar fuori col  frustino, ma  che  in  realtà di  fronte  a lei,  non  riesca  a  far  altro che  battersi  il  frustino  sulla  coscia,
Narra il Bandi :
Al Faro, un meriggio,mentre nel campo garibaldino sulla marina, pacificamente si mangiava, alcuni legni borbonici avvicinatisi pian piano alla riva, apersero d'un tratto un terribile bombardamento. Fu un panico, un fuggi fuggi generale! Ma la contessa, buttato via un piatto d'insalata che stava mangiando, irruppe d'un tratto a cavallo colla sciabola in pugno tra gli artiglieri fuggiaschi sotto la gragnuola della mitraglia e li ricondusse, gridando sui pezzi, puntando poi ella stessa un cannone 
L'episodio viene poi confermato da altri garibaldini che si trovano presentì.

In uno di quei giorni, il 15 agosto,  Cesare Abba vede la contessa e nelle sue a Noterelle d'uno dei Mille si affretta a scrivere : « Ho veduto un ufficiale delle Guide camminare lesto lesto, lungo  la  spiaggia, senza sciabola, proprio una donna, fianchi e seno. Bella, faceva l'aria da bambina, ma si guardava dietro con una coda d'occhio cosi serpentina 1... Gli ufficiali della brigata ne chiacchieravano; il colonnello Bassini, scuotendo la testa e il frustino, brontolava sordamente dietro quella figura. E' una contessa piemontese che corre la ventura; si dice che spanda balsamo, pietosa come una suora di carità; ma si aggiunge che il vecchio Dottor Ripari l'ha fatta cacciare dall'ospedale di Barcellona, dove essa voleva
fare l'angelo sopra i feriti di Milazzo ».

Maria accennerà  nelle successive  lettere al  generale  a  questa che lei vive  come  una vera  e propria campagna persecutoria e di diffamazione. Infatti al  termine  dell’impresa  dei  Mille lei  scrive:

Genova, 6 febbraio 1861.
 Caro Generale ed amico,
Sono di ritorno dopo avere adempiuto fino all'ultimo la mia missione presso i feriti. Dirvi la loro gratitudine, mi sarebbe impossibile; dirvi com'essi vi amano, come domandano di voi, è cosa difficile a scrivere o ad esprimere. Io vi scrissi più volte; se non avete ricevuto le mie lettere non è colpa mia, né del mio cuore, né di un'amicizia che conoscete. Ho seguito tutte le fasi diverse che si seguirono con ansietà febbrile, e posso dire che se l'affetto che vi porto potesse subire un aumento, sarebbe stato certamente in quest'occasione, in cui vi siete dimostrato al di sopra di tutte le ire di partito e di persone ; difetti comuni in un paese nuovamente costituito. …...
Non voglio essere calcolata nel numero degli importuni che vi assediano, e benché conosca l'amicizia e il sincero affetto che avete per me, pure mi astengo
dal venirvi a vedere. Voglio che voi mi teniate sempre nel numero di quei pochissimi amici, che vi amano senza egoismo, senza interesse. Tutta vostra
Maria della Torre.

Ancora:
Milano,10 maggio 1865.

Generale! Amico!
Ecco il 10 maggio! Undici anni fa, ebbi la fortuna e l'onore di andarvi a ricevere a Londra e di profferirvi quell'amicizia, che non si smentì mai. Voi darete un mesto ricordo alla mia morte. Sovvenitevi che fui sempre degna del vostro affetto. Fate ciò che vi chiedo di fare.
Vostra Maria contessa della Torre.

Garibaldi non è insensibile alle angosce di Maria e nella sua olimpica semplicità, cavallerescamente, risponde:

Caprera, 22 maggio 1865.
Contessa amatissima,
Ma voi mi avete disperato con le vostre due ultime lettere. Perché avete deciso di morire ? Ditemelo e ditemi ciò che io posso fare a sollievo vostro, perché io vi amo sempre, bella ed infelice donna !
Rispondetemi, subito, ve ne prego. Vostro sempre
G. Garibaldi.
La lettera arriva come un balsamo; ma l'idea del suicidio non è abbandonata. In quei giorni la Maria appare a Crema, vestita come al solito, alla militare,
con pantaloni e scudiscio; si dice che  sia  lì per schiaffeggiare e provocare a duello un suo fratello, maggiore di cavalleria in quella guarnigione  che  la  critica  per  il  suo  stile  di vita e per l'indecente  modo  di vestire.

Milano. 8 giugno 1865.

Generale! Amico!
La vostra lettera l'ebbi oggi soltanto. La meritavo; era l'ultimo, il solo conforto, ch'io mi aspettassi. Sono serena.
In qualche angolo della vostra Caprera, sopra una roccia, fate scrivere il nome di Maria. Esso vi farà sovvenire di chi vi amò al di sopra di ogni cosa. Voi vedete a quante e a quali infamie sono soggetta! E non vi dissi mai nulla ! Sapevo che sarebbe venuto un giorno per rendermi giustizia e sollevare molte maschere.
Garibaldi ! oggi l'Italia ha più che mai bisogno di voi. Aiutate questo infelice paese ; se non lo fate voi, chi lo farà ?
Questi tempi non erano per me; c'è troppa slealtà, troppa viltà dì opere e di pensieri Maria contessa della Torre.

Milano, 8 giugno 1865.
Generale! Amico!
Voi perderete in me un cane fedele, il Narrarvi il martirio morale di due anni sarebbe inutile; il miotestamento e le carte annesse lo diranno. Ebbi per voi un culto, un'adorazione ! Invidiavano voi e me; e fecero di tutto per allontanarci. Io soffrii tutto senza addolorarvi.
Morendo, posso giovare ; viva non lo posso. Lascerò un grande rimorso a chi ebbe il triste coraggio d'insultarmi. La certezza che voi darete un mesto ricordo alla
mia memoria, che eseguirete fedelmente ciò che domando alla vostra amicizia, mi conforta.
Morire senza vedervi, senza una parola vostra, era per me un fiero ed immeritato dolore. Ora sono serena. Gradite la mia riconoscenza; in voi ho adorato la virtù.
Riceverete una mia ciocca di capelli ; conservatela per memoria del 10 maggio 1854.
Maria contessa della Torre.

Caprera, 13 marzo 1866.

Maria Carissima,
Ebbi i vostri due ritratti e ve ne ringrazio. Il bellissimo vostro volto vi è pieno di mestizia e mi diveniste più cara. Voi siete una vittima della perversità umana.
In questi tempi, in cui la parte eletta della nazione si millanta di vergogne, che volete? Però voi, giovane, ricca e bella, paragonandovi colle infelici creature, che
vi circondano non dovete affiggervi e in una prossima vostra m'invierete un ritratto, che mi confermi non es- sere vane le mie ammonizioni. Vostro sempre

G. Garibaldi.
 
Trasformato l'amore in dedizione assoluta,  Maria continua a seguire  Garibaldi in ogni sua battaglia. La vediamo quindi cacciata da Roma per i suoi pubblici proclami,  appena in tempo  per  non  far la  fine  della  povera  Arquati  nel 1866 e la  vediamo tornare con cavallo, sciabola e camicia rossa durante la guerra per la Venezia, oltre  Bezzecca accanto al colonnello Bruzzesi.
Nel 1870 è alle ambulanze nell'armata dei Vosgi e si ritira in Parigi per  assistere  i  feriti  negli  ospedali  durante  l'assedio. Sono  gli  ultimi  momenti  eroici  ed  anche le ultime volte  che vede Garibaldi.
Dopo  la  guerra franco-prussiana, a  corto di  denaro, a  Maria  non resta che riprendere  la  sua  vita  inquieta a  Parigi.
Vittima degli  usurai, nel 1874 è  condannata  per  debiti.
  Tra il 1870 e il 1874 è infatti riuscita, valendosi del suo nome e della posizione per ottenere credito, ad accumulare debiti con alberghi e numerose imprese in Parigi: quando viene arrestata e processata ha accumulato nove separate denunce di truffa.  Condannata a un anno di carcere, i giudici le rifiutano la  richiesta che i suoi 15 cani e 17 gatti  possano condividerne la  prigionia.
Purtroppo in precedenza ha anche già trascorso due giorni di carcere per violazione dei regolamenti comunali (presumibilmente in materia di tenuta degli animali).
Anche questa sua straordinaria  passione e compassione per gli  animali,  Maria  la  condivide  con  Garibaldi.
Nei medesimi anni infatti, l'eroe stanco e tremendamente  invecchiato, ottiene  che si costituisca in Torino (1871)  la  Regia Società per la protezione  degli  animali, che ancora  oggi  sopravvive  nell' ENPA, Ente  Nazionale  Protezione Animali.

In occasione del processo in Parigi nel 1874 giornali  si  occupano  nuovamente  di Maria che da tempo si fa  chiamare  comtesse  De  la Tour  e  non si vuol  credere  che questa donna stravagante e un  po' esaltata  sia  la  contessa  che  dice  di  essere.
Dovranno ricredersi perché  la polizia rovistando fra  le  sue carte  trova  lettere  di  Cavour,  di Victor Hugo, di George Sand e di  molte altre  personalità  del  tempo,  compreso il  generale Prim assassinato nel 70, poco prima che  giungesse  in  Spagna il  pretendente  a  lungo  corteggiato  dal  generale, Amedeo  di  Savoia ,  fratello di Vittorio Emanuele secondo, destinato a regnare brevemente  sulla  Spagna  assieme  alla consorte  Maria  Vittoria.
E'  difficile parlare  del  lento  declino  di  Maria,  del  suo sprofondare  nella  solitudine,  nella povertà e  nella  malattia; difficilissimo  è seguire  le  sue  mosse.
E' certo che  lascia la Francia dove  non vuole  più  rimanere  e torna  in Inghilterra  falsificando  i suoi dati  per  quanto  può. Gli  amici  inglesi  sono costretti a  cercarla  per offrire  aiuti  che  lei  se può  rifiuta.
Nel  censimento del 1881 si  dichiara all' 84 di Warwick Gardens, Kensington,
 come Maria, vedova Contessa Della Torre, una vedova di 38 anni, nata a Inverness, in Scozia. Non  dichiara  nessuna  occupazione, e allo stesso indirizzo indica  la sua  governante Eliza Lackersteen, sposata, di 60 anni, irlandese con due figli Maria e Edmund. In quell'anno trascorre anche sette mesi nella prigione di Holloway per non aver pagato i suoi debiti.
Al suo ritorno a casa, accusa una donna di nome Margaret Wild di rubare le sue cose,  ma  non viene  creduta.
 I più presumono che sia una truffatrice. La contessa veste e parla stranamente, fantastica, continua a mantenere un gran numero di animali e quasi mensilmente, riceve un addebito per violazione delle normative sanitarie locali, poiché i suoi animali sono sovente un fastidio e vengono tenuti in condizioni non igieniche.      
Calcolando  le  sue  spese, e notando  i suoi  comportamenti, così come  appare dai verbali processuali, si vede che ha un sincero interesse per il benessere degli animali e che la maggior degli animali che mantiene sono povere creature abbandonate  che  lei   attivamente reinserisce e  recupera.
Quando nell'agosto del 1890 viene denunciata per  non aver pagato vitto e alloggio da Robert Chipps del Pack Horse Inn, a Gerrard Cross, ha perso la  governante e  la sua  famiglia è  costituita da 23 gatti, 40 capre, due cani e un asino.
Per  merito  di  donatori  misteriosi ,  probabilmente  nobili  inglesi  già  devoti a  Garibaldi, può comperarsi una casetta sempre a Gerrard  Cross,  ma  la  sua  mente  vacilla ormai  troppo. Fino  al  1914 il  suo  nome  compare  fra  i  protesti, ma invano  perché i  suoi  debiti  inglesi  non  verranno mai  saldati. 
Maria verrà  portata in  Italia,  dimenticata e folle, diventando grazie alla sua  fibra forte e ben temprata, una  delle  poche  sopravvissute  dell'epoca  risorgimentale.
Morendo, alla  fine del 1913 porta con se l'enorme mistero della sua  eccentricità  (fu  davvero pazza o  semplicemente  una  donna  libera ed  in  anticipo  sui  tempi?) e  della  sua  totale incapacità  di flirtare  con la storia. 
Ha  avuto tutto e  tutto  ha perso e non sappiamo ancora oggi se  lo abbia fatto per passione, per insouciance  o ribellione.
Certo  moltissime  cose  sono  ancora  da scavare e la  figura politica e umana è  tutta da  rivalutare, come garibaldina, come infermiera, come scrittrice, come  emancipazionista.
 Maria,  la  contessina  di  Salasco,  attende  ancora  che  le  vengano restituiti  dignità ed onore, ed onestamente credo sia tempo perché di sicuro se li è  ampiamente  meritati.

 

Rosellina Piano

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